lunedì 1 ottobre 2007

Il punto di vista...


Riportiamo un articolo apparso sul Corriere della Sera del 30 settembre 2007, ritenendolo di grande interesse non solo per l'autorevolezza della firma, ma soprattutto per la lucidità dell'analisi in esso contenuta.

Le corporazioni e l’interesse del Paese
Una Finanziaria per sopravvivere
di Mario Monti
Quella varata venerdì, come ha osservato il governo, è una Finanziaria leggera. Ma è anche una Finanziaria grave: mostra i limiti che, nella presente configurazione politica italiana, non permettono una politica economica adeguata ai problemi del Paese. L'abilità e la tenacia senza pari di Romano Prodi, unite alla capacità di Tommaso Padoa-Schioppa e di Vincenzo Visco, hanno prodotto quella che forse è la migliore manovra oggi possibile. Così come forse, nelle condizioni politiche date, non poteva produrre maggiori risultati l'impegno liberalizzatore di Pierluigi Bersani e di Linda Lanzillotta, che molto hanno seminato e meno raccolto.
Ma siamo lontani da ciò di cui l'Italia ha bisogno. Lo dicono tutti gli organismi internazionali. L'ha detto il governo all'inizio del suo cammino con il Dpef del giugno 2006: un programma che in larga parte non è stato in grado di realizzare. Questa Finanziaria è caleidoscopica. Accoglie molte istanze, tutte comprensibili, delle varie categorie dotate di qualche potere di interdizione sulla vita del governo. Ognuna ha chiesto un prezzo, molte l'hanno ottenuto. Secondo Massimo Giannini (la Repubblica di ieri) «questa finanziaria salva il governo, anche se non salva l'Italia». Il caleidoscopio, in effetti, non fa emergere un disegno unitario, che abbia al centro il futuro del Paese.
L'extragettito è in gran parte destinato a soddisfare oggi esigenze delle categorie, che protestano e votano, più che a ridurre il peso del debito pubblico sui futuri cittadini italiani. La Germania di Angela Merkel, muovendo da un disavanzo simile a quello italiano, ha sentito l'esigenza di conseguire già quest'anno un sostanziale pareggio. L'ha sentita per rispetto dei tedeschi di domani, che pure sono destinati a trovarsi sulle spalle un debito comunque molto inferiore a quello dei loro coetanei italiani. Ed è riuscita a conseguire questo risultato pur con una «grande coalizione» (o, ritengono alcuni, grazie ad essa). Inoltre la Finanziaria, sempre per il prevalere delle pressioni delle categorie, non è riuscita nell'intento, che il governo si era dato, di coprire nuove uscite solo con diminuzioni di altre uscite. E si è preferito non affrontare ora le decisioni sul pacchetto welfare.
Ma le categorie, le corporazioni, le lobby non esistono in tutti i Paesi? Certo, in ogni Paese esistono, premono sulle finanze pubbliche, cercano di resistere alle riforme intese a ridurne privilegi o rendite al fine di «liberare la crescita», come direbbe Sarkozy. La differenza rispetto agli altri Paesi è solo questa: la configurazione politica che l'Italia si è data in questi anni sembra fatta apposta per far giacere supino, molle il ventre, il potere pubblico sotto le pressioni delle categorie.
E' la risultante di tre scelte: 1) per scelta strategica di Romano Prodi, si è creata una coalizione molto estesa e di limitata coerenza interna; 2) per scelta sia di Romano Prodi e di gran parte della sua coalizione, sia di Silvio Berlusconi e di gran parte della sua coalizione, si è poi rifiutato di convenire, prima delle elezioni politiche del 2006, che pochi punti essenziali di politica economica, largamente condivisi dagli osservatori di buon senso, fossero oggetto di esplicito o tacito consenso bipolare per la loro attuazione chiunque vincesse. Né si è ritenuto, in omaggio ad un bipolarismo inteso come superiore valore in sé, di ricercare dopo le elezioni qualche limitato accordo su tali punti; 3) infine, per scelta «inerziale» legata alla sua tradizione, il governo di centrosinistra ha valorizzato la concertazione come metodo di governo.
Se poi le categorie — appoggiandosi ciascuna a qualche componente della variegata maggioranza, mettendo in aspra «concorrenza » maggioranza e opposizione su chi è più «comprensivo » e avvalendosi del posto al tavolo della concertazione—rendono difficili il risanamento della finanza pubblica e le riforme strutturali, è difficile sorprendersi. E' una ricaduta inevitabile, quasi per legge di gravità, della configurazione politica che si è voluta.
30 settembre 2007

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sarà pure un bravo economista l'On. Mario Monti, ma sicuramente non è un acuto osservatore se confonde la bravura dell'On. Pierluigi Bersani e di Linda Lanzillotta a gettare fumo negli occhi con il giuoco delle tre carte (la carta vince/la carta perde).

Circolo Eleuterìa ha detto...

Bhe, in effetti di "impegno liberalizzatore" ci sarebbe bisogno in Italia, su questo MOnti non ha torto. Il problema è il "come" liberalizzare e da "cosa" cominciare...purtroppo Bersani, vuoi per quella sua aria da vendicatore degli oppressi consumatori, vuoi per le impostazioni ideologiche (da cui nemmeno lui è scevro: non dimentichiamo che sempre dai comunisti arriva eh..), vuoi per i grandi interessi che non ha voluto toccare, vuoi per la demagogia che spesso lo anima, ha fatto tutto meno che vere liberalizzazioni. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: un grandissimo polverone che non ha prodotto un bel niente...anzi, in alcuni casi ha rinforzato le lobbies (vedi banche e assicurazioni). Che fenomeno!