domenica 30 settembre 2007

Il Sindacato "mediatico": ci serve davvero?


In un Paese in cui vige lo Stato di diritto dovrebbero evitarsi processi sommari e gogne mediatiche.
In Italia, invece, sono la regola!
I processi si celebrano in TV, i giornali sono arbitri di ogni situazione e, quando qualcuno vuole un po’ di notorietà, non deve fare altro che rivolgersi al giornalista (o editore) amico per denunciare un caso, così da far parlare un po’ di sé.
E così leggiamo, sulla stampa locale provinciale (Latina Oggi del 29.09.07, pag. 25), in un articolo che occupa metà pagina, la notizia secondo cui il dirigente provinciale di un sindacato (la FLAI CGIL) avrebbe pubblicamente denunciato il caso di una lavoratrice di un’azienda agricola licenziata (il giorno prima dell'articolo) a causa della decisione di iscriversi al sindacato.
In un Paese normale la lavoratrice, e il sindacato di riferimento, si sarebbero dovuti rivolgere ad un Giudice, al quale dimostrare l’avvenuta violazione dei diritti sindacali. Così non è in Italia, dove è più comodo chiamare un giornale, al quale non bisogna dimostrare nulla, e che costituisce un mezzo molto più efficace della Magistratura per ottenere la "condanna inappellabile" del malcapitato datore di lavoro (il cui diritto di difesa è stato irrimediabilmente compromesso).
Ma a parte queste considerazioni, viene da chiedersi dove viva il dirigente sindacalista in questione (tale Luca Battistini) per arrivare a dire: “… non riusciamo a capire come in un Paese civile e democratico come l’Italia possano accadere fatti simili, alle soglie del 2008”.
Forse non si è accorto che a Terracina e dintorni (ma nel resto del Paese non è molto diverso) il lavoro nero costituisce la regola (non l’eccezione), che ci sono giovani costretti a lavorare per 400 Euro al mese, che le violazioni dei diritti vengono perpetrate anche da imprese di notevole consistenza (vedi i grandi gruppi di distribuzione). E non c’è una sola voce che si levi per denunciare tali fatti!
Ci piacerebbe leggere che il Sindacato si scandalizza per l’entità del fenomeno del “lavoro nero” e che si attiva per aiutare concretamente i lavoratori, non già per farsi una gratuita pubblicità sui giornali!
Ma questo è il segno dei tempi. In una realtà in cui il Sindacato è presente ovunque ma non nei posti di lavoro, incline più a far politica che a tutelare i lavoratori, non ci si poteva aspettare nulla di diverso. D’altra parte, sbaglio o le più alte cariche dello Stato sono occupate da ex sindacalisti?


Emilio Marigliani

sabato 29 settembre 2007

Il Circolo della Libertà Terracina "Eleuterìa"



Il Circolo della Libertà Terracina "Eleuterìa" è affiliato all'Associazione Nazionale "Circolo della Libertà", la cui azione trova ispirazione nella grande cultura liberale, volta alla promozione della pace, della libertà, della sicurezza, della dignità della persona umana, dell'economia di mercato, della solidarietà, della giustizia, della famiglia, dello Stato di diritto, dello sviluppo sostenibile e della protezione dell'ambiente.
Il nostro Circolo "Eleuterìa" è fondato da un gruppo di persone da sempre estranee, per scelta, a logiche politiche e partitiche, nato semplicemente dalla voglia di creare un laboratorio di idee che possano diventare strumento per migliorare la realtà sociale in cui viviamo.
Ci proponiamo di realizzare iniziative di carattere sociale, politico e culturale, che siano radicate nel nostro territorio, raccogliendo le istanze, i bisogni, le idee della gente per “portarle” fino alle istituzioni.
In un momento in cui gli organismi tradizionali sono sempre più lontani dai cittadini e dalle loro voci, dimentichi di ruoli e doveri, l’associazionismo costituisce l’unica forma di partecipazione possibile alla vita pubblica. E poiché l’associazione vuole diventare un efficace mezzo di pressione, ha bisogno del contributo di tutti coloro che si riconoscono nei suoi valori, e che aspirano a cambiare uno stato di cose che non piace.
Corpo e anima del nostro Circolo saranno tutti coloro che vorranno farne parte, stanchi di subire passivamente le decisioni che altri prendono per loro, pronti a lavorare per non essere più spettatori, ma divenire protagonisti del loro futuro.