Quando si parla di riduzione del numero dei parlamentari lo si fa spesso (diciamo pure sempre) in modo vergognosamente demagogico. L’argomento sembra infatti essere diventato il cavallo di battaglia di tutti i partiti. E non potrebbe essere altrimenti: in un dibattito politico che si caratterizza per la pochezza dei contenuti e per l’aggressività della dialettica, ognuno tenta di imbonirsi il confuso elettore, con la speranza che il miraggio di un abbattimento dei costi del Palazzo possa portare qualche voto in più nelle proprie “tasche”. Sono i politici stessi che, però, quando prospettano la riduzione dei Parlamentari come panacea di tutti i mali, oltre che mettere in atto un vero e proprio imbroglio, cavalcano, essi stessi, l’antipolitica. Perché vedete, il problema della politica italiana non è che coloro che siedono in Parlamento devono essere “di meno”, bensì che devono lavorare “di più”, lavorare sul serio e, soprattutto, essere realmente chiamati a dare conto delle proprie azioni. Quindi da scacciare, da stigmatizzare, da bandire non è la “politica”, ma la "cattiva politica”; non l’attenzione, ma il privilegio; non il giusto compenso, ma l’affarismo. E se ci pensate bene, la riduzione del numero dei parlamentari rischia di essere, oltre che un falso problema, un grosso errore. A dire il vero proposte di questo genere sono l’emblema delle soluzioni all’italiana: non si va ad analizzare dove stia il cancro della politica nostrana, ma si evita di confrontarcisi, percorrendo la soluzione più comoda e più popolare (chi se ne frega, poi, se non è quella giusta). E’ come per la lotta all’evasione fiscale: ci sono un mucchio di evasori e la soluzione è aumentare le imposte per chi già le paga, non già farle pagare a tutti; o come avviene, che ne so, per la violenza negli stadi: uno Stato serio, per evitare le violenze assurde della domenica pomeriggio, porrebbe in essere un’intensa attività sociale e culturale, accompagnata ad una repressione decisa e coerente dei fatti di violenza, così da garantire anche il corretto svolgimento delle attività sportive, cui i tifosi hanno pure diritto. Noi invece chiudiamo gli stadi per tre o quattro settimane, facciamo giocare a porte chiuse, rimandando il problema a quando le porte verranno riaperte e si dovranno ricominciare a contare i feriti o, purtroppo, i morti. Le solite “italianate”!
I Costituenti non erano mica impazziti (né tantomeno mangiapane a tradimento) quando hanno stabilito il numero dei deputati e senatori; né erano impazziti i membri delle Camere quando, nel 1963, hanno portato il numero dei deputati a 630 e quello dei Senatori a 315. Il ragionamento era logico, perché avevano concepito il sistema in modo tale che il numero di parlamentari fosse proporzionale al numero di abitanti, così divisi in circoscrizioni territoriali. Il Parlamentare doveva essere espressione del territorio, della sua gente, affinché le istanze anche del più lontano lembo di Italia potessero arrivare nelle Aule romane. E la finezza era stata concepita soprattutto per il Senato, che si è voluto eleggibile su “base regionale” (poi, per la pessima applicazione, il principio della regionalità ha perso tutta la sua forza). Ve la sentireste allora di dire che il quadro è sbagliato? E' strano che la gente elegga la propria gente? Sbagliata è la deriva cui il sistema è stato abbandonato (o meglio, accompagnato), l’uso che è stato fatto delle leggi elettorali, fino ad arrivare al punto che, oggi, non c’è il minimo collegamento tra eletto ed elettore, tra territorio e Parlamentare. Il Pugliese viene eletto in Veneto, il Ligure in Sicilia, il Sardo in Umbria…tutti si buttano dove ci sono i “posti”. Questa porcheria è forse colpa del numero dei parlamentari? Con questo sistema, certo, non ha senso avere 1000 membri del Palazzo, ma non avrebbe senso nemmeno averne 500 o 100. Basterebbero solo 7 o 8 persone, i segretari di partito, tanto sono loro che decidono le sorti della politica italiana. Poche teste pensanti e tanti “culi di pietra”, come qualcuno ha detto. Discutiamone finché vogliamo, ma smettiamola di dire che la riduzione del numero dei parlamentari è un atto necessario e positivo. Io ne vorrei pure 3000 se veramente facessero il loro lavoro e la Comunità si giovasse del loro contributo. Casomai andrebbero ridotti i privilegi, gli sprechi (quello sì!), e al contempo studiato un sistema che costringa chi ha ruoli di responsabilità a lavorare bene, rendendo conto a chi lo ha eletto. Anche perché, chiunque si interessa di lavori parlamentari può appurare che, se fatta bene, l’attività di parlamentare non è mica cosa da niente. Ma per ogni parlamentare che si taglia, almeno nel sistema pensato dai Padri costituzionali (quello Alto, non certo la brutta copia che ci propinano oggi), viene affievolita la voce di una parte di quel Popolo che dovrebbe essere Sovrano.
Emilio Marigliani